DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE NEGLI ADULTI

In seguito all’ultimo anno di pandemia ho notato un aumento di richieste di psicoterapia da parte di adulti, nei quali ho riscontrato disturbi del comportamento alimentare, più o meno consapevoli.
Tale evidenza mi ha portato a riflettere su quanto sia delicato il rapporto con il cibo in tutte le fasce di età e su quanto alcuni sintomi riescano a celarsi per anni dietro compensazioni funzionali nella vita adulta, al punto da mascherarsi come “normalità” pur comportando disagi e sofferenza alla persona.
I DCA sono disturbi pericolosi in ogni fascia d’età ma in età adulta richiedono particolare attenzione per permettere alla persona di affrontarli senza temere di destabilizzarsi troppo rispetto alle responsabilità della vita attuale.
Di seguito una riflessione personale sui disturbi del comportamento alimentare negli adulti riscontrate nella mia professione di psicoterapeuta.
Durante la pandemia in corso si è registrato un aumento del 30% dei casi di Disturbo del Comportamento Alimentare (DCA), riportato sul Messaggero Umbria dal Centro disturbi del comportamento alimentare di Todi, uno dei Centri più famosi in Italia.
L’Istituto Superiori di Sanità ipotizza che il fenomeno sia riconducibile a 4 motivazioni principali:

1. I condizionamenti forzati dell’epoca COVID-19 aumentano il rischio di ricaduta o peggioramento delle condizioni di DCA: Le condizioni di limitazione sociale, la paura di ammalarsi in seguito all’infezione da Coronavirus e il senso di mancato controllo della situazione possono portare ad un aggravamento dei disturbi alimentari. Chi tende a restringere potrebbe farlo molto di più per compensare anche la mancanza di una adeguata attività fisica e la paura di aumentare troppo di peso. Chi invece tende ad abbuffarsi, potrebbe all’opposto scivolare verso un aumento degli episodi di alimentazione incontrollata per compensare le emozioni negative e lo stress del lockdown. Da non sottovalutare poi la forzata e prolungata convivenza con i familiari che in molti casi ha generato o acutizzato difficoltà e tensioni interpersonali;
2. Chi soffre di Dca è più a rischio di infezione da COVID-19: Le condizione di Dca mal si conciliano con una piena risposta difensiva dell’organismo al possibile attacco di un virus: malnutrizione, riduzione delle riserve di grasso corporeo, malfunzionamento intestinale possono rendere vulnerabile il corpo all’azione delle infezioni. Ad esempio le condizioni di Anoressia nervosa, tradizionalmente a rischio di squilibri metabolici ed elettrolitici, possono incorrere con più facilità nell’insufficienza respiratoria;
3. Nuovi casi di disturbi alimentari possono essere favoriti dal COVID-19: In alcuni casi si è assistito alla comparsa di un disturbo dell’alimentazione che prima del lockdown non c’era, oppure a singoli comportamenti disfunzionali, come una maggiore dipendenza da alcuni cibi, soprattutto quelli più palatabili o di conforto. Per alcune persone infatti la ricerca di un appagamento per compensare lo stress da isolamento prolungato è passata dal cibo, risorsa sempre disponibile, economica e socialmente accettata. Da anni la SIS-DCA, la Società Italiana Scientifica per lo Studio dei Dca e dell’obesità (società fra le più antiche al mondo) studia proprio la food addiction o dipendenza da cibo, notando che vi sono meccanismi neurobiologici e psicologici in parte sovrapponibili fra dipendenza da sostanze e piacere per il cibo;
4. Durante questa emergenza COVID-19 la cura dei Dca è stata ridotta o ridimensionata: Durante la fase più critica della pandemia, ma anche in questi giorni causa non ripristino ancora totale delle attività ordinarie nei centri clinici, alcuni trattamenti per i Dca sono stati interrotti, ridotti al minimo o erogati nella forma on-line che, pur assicurando una certa continuità terapeutica, non ha comunque lo stesso impatto del trattamento in presenza, anche per la mancanza di un’adeguata formazione degli operatori per i trattamenti a distanza. Inoltre – conclude il dott. Castelnuovo – i trattamenti residenziali sono stati sospesi o rinviati, perdendo occasioni terapeutiche a volte irripetibili per alcuni pazienti.
(Tratto dalle linee guida del progetto MA.NU.AL “la MAppatura territoriale dei centri dedicati alla cura dei Disturbi della NUtrizione e dell’ALimentazione in supporto alle Azioni Centrali del Ministero della Salute”.)

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), distingue tra i DCA più frequenti l’Anoressia Nervosa(AN), la Bulimia Nervosa (BN) e il Disturbo da Alimentazione Incontrollata (BED).

E’ ormai risaputo che l’adolescenza è una fase della vita molto colpita da questo disturbo, una caratteristica allarmante del fenomeno attuale si riferisce però al fatto che molti casi coinvolgono persone adulte, over 35-40 anni.
In molti casi si tratta di persone, per lo più donne, che hanno avuto già in passato problemi con l’alimentazione; in questi casi la quarantena e l’isolamento sociale imposti dalla pandemia di Coronavirus sono stati deleteri. Le mura domestiche sono state vissute come una “prigione” e la paura di contagiarsi con il Covid-19 si è aggiunta alle fatiche oggettive di dover rimanere 24 ore su 24 insieme al proprio peggior nemico: il cibo.
In molti altri casi però la pandemia ha dato voce ad alcune difficoltà che le persone hanno sempre cercato di tenere sottocontrollo, compensandole con la vita quotidiana: nel momento in cui la vita è stata sconvolta tali difficoltà hanno preso il sopravvento. In queste situazioni la comparsa di sintomi legati ad un disturbo del comportamento alimentare può essere il ritorno di sintomi noti, ma anche la definizione di un disturbo che il paziente viveva già da molti anni, ma non ha mai trattato prima come disturbo alimentare.
Si identificano come sintomi associati ad un DCA mascherato negli anni fattori quali un’attività atletica intensa e compulsiva, un’insoddisfazione costante del proprio aspetto fisico, il ricorso alla chirurgia plastica, un’attenzione marcata alla dieta da seguire, l’uso di lassativi, fluttuazioni continue di peso.
Gli adulti usano il cibo come ricompensa o come compensazione di controllo, monitorando in modo ossessivo l’assunzione di cibo in base alle calorie, per esorcizzare le ansie quotidiane su cui sentono di non avere potere. Entrambe queste difese vengono adottate per affrontare momenti particolarmente difficili nell’illusoria convinzione che una dura disciplina applicata al corpo possa risolvere problemi affettivi, lavorativi, sociali e controllare qualcosa che non può essere controllato.
Un tranello insidioso risiede nel fatto che, mentre negli adolescenti queste difese possono risaltare agli occhi dei genitori, permettendo di intervenire a livello medico e psicologico, gli adulti non hanno figure che possano “monitorare” il loro rapporto con il cibo. Questo permette loro di continuare per anni ad attuare comportamenti compensatori molto pericolosi sia a livello psicologico che fisico.
Dunque non è raro che i pazienti mi riferiscano di saltare la cena perchè troppo stanchi dal lavoro per cucinare ma poi si “abbuffano” di cibi spazzatura fino a sentirsi male; è altresì frequente che le madri mi raccontino di non mangiare quasi nulla poiché non hanno tempo di sedersi a tavola mentre preparano cene nutrienti e sane per i propri figli. O ancora c’è chi non cucina mai per sé perchè da quando è single “preferisce” un gelato davanti la tv che ritrovarsi sola a tavola.

E’ importante sottolineare che in età adulta non sono solo gli eventi dolorosi a causare difficoltà psicologiche nel rapporto col cibo, bensì tali difficoltà si accentuano spesso di fronte a qualsiasi evento che sancisce simbolicamente l’entrata nell’età adulta, quale un matrimonio o una gravidanza, o che richiede un cambiamento, come l’adolescenza dei figli, il primo approccio con l’idea di invecchiare, la menopausa, la malattia di un genitore.
Di fronte a tutte queste fasi di vita inevitabili si rischia che antiche modalità difensive riemergano quando gli eventi della vita superano la propria capacità di tollerarli.

In particolare di fronte ad una gravidanza i sintomi dei DCA assumono una connotazione ancor più pericolosa perchè hanno ripercussioni irreversibili sullo sviluppo del feto. Nonostante spesso questa sia una consapevolezza per la donna, ella può non riuscire comunque a modificare da sola le proprie abitudini disfunzionali alimentari, dunque si aggravano le difficoltà psicologiche legate al senso di colpa verso il figlio che sta mettendo in pericolo.
I sintomi, dapprima lievi, possono poi divenire sempre più gravi in una progressione da cui diviene sempre più difficile uscire: dal rifiuto di un particolare alimento, al rifiuto del cibo in generale, al rifiuto del proprio aspetto fisico, ad una sempre maggiore difficoltà a mantenere una visione realistica ed equilibrata del proprio aspetto corporeo e di quello che si sta vivendo.
E’ necessario menzionare anche che alcuni comportamenti sono peraltro sostenuti da una cultura che sembra approvare un’attenzione alla linea o alla dieta e che sembra sostenere l’autostima di chi persegue obiettivi di controllo del peso.

Un’altra considerazione importante riscontrata come psicoterapeuta, è che per persone che in giovane età hanno lottato con sintomi gravi legati ai disturbi alimentari, può essere estremamente doloroso rendersi conto, in età adulta, quanto quegli antichi disturbi possono aver condizionato la loro vita. Tale consapevolezza, a volte rende la persona desiderosa di tornare a lavorare sulle proprie difficoltà; altre volte si assiste invece all’accompagnarsi di un vissuto depressivo quasi di ineluttabilità.

Altro momento estremamente pericoloso per la donna è l’avvento della menopausa, in cui si riscontra un aumento dei casi di anoressia nervosa rispetto alla bulimia: spesso la donna in questo periodo comincia a mangiare sempre di meno e a contare le calorie, nascondendosi dietro la motivazione di contrastare la tendenza all’ingrasso da carenza di estrogeni post-menopausa. A volte si tratta di un’anoressica ‘di ritorno’ che anche dopo essere uscita dal tunnel della magrezza eccessiva ha mantenuto qualche difficoltà nel rapporto con il cibo, per esempio è rimasta un po’ fissata con la dieta, è un’iper-salutista o una super-sportiva.

Purtroppo l’insorgenza o il ritorno di sintomi del disturbo alimentare in età adulta sono più difficili da affrontare da soli: da un lato c’è la possibilità di ancorarsi a risorse interne più mature, ma spesso l’imbarazzo di dover affrontare tale problema in famiglia porta la persona a negare a lungo anche a se stessi. Il proprio ruolo in famiglia, gli impegni quotidiani, tante cose permettono al paziente di banalizzare alcuni sintomi, mimetizzandoli con lo stress del momento storico e sociale che tutti stiamo vivendo.

Chiedere aiuto risulta dunque difficile ma possibile: molte pazienti in questi mesi hanno riconosciuto come il Covid e tutte le ripercussioni ad esso associate, abbiano permesso loro di sentirsi legittimate a fermarsi, avere paura, riconoscere dunque le proprie fragilità. Non è raro dunque che un paziente che si rivolge a studio per affrontare un’insolita ansia insorta in questi mesi di pandemia, arrivi col tempo a riconoscere che sotto la nebbia dell’ansia risiede qualcosa di più antico e profondo, legato al cibo, alle proprie insicurezze, alle proprie emozioni a lungo inascoltate o messe a tacere fin quando è stato possibile.
Le richieste di aiuto di questi ultimi mesi mi hanno portato a lavorare spesso su due livelli intrapsichici paralleli in psicoterapia: da un lato la ri-narrazione della storia del paziente, con attenzione alla sofferenza provata nell’arco della propria vita, dando spazio a tutte quelle emozioni che spesso sono state negate; al contempo il lavoro si incentra molto sulla valorizzazione delle risorse attuali della persona, non come compensazione per negare le proprie difficoltà ma con l’obiettivo di integrarle in un unico Sé, adulto, responsabile ma umano e sensibile, in grado ciò di condurre avanti la propria vita, recuperando e rivalorizzando ciò che è accaduto in precedenza e l’ha condotto fin là.

Disturbi del comportamento alimentare negli adulti
Disturbi del comportamento alimentare negli adulti